Pignatte, utensili e attrezzi da cucina e poi da tavola in ogni epoca storica hanno determinato, e continuano ancora oggi a determinare, cosa mangiamo, il modo in cui mangiamo e anche il nostro pensiero su ciò che mangiamo. Non dobbiamo mai dimenticare infatti che modifichiamo la consistenza, il sapore, i valori nutrizionali e le connotazioni culturali degli ingredienti semplicemente impiegando utensili e metodi diversi per prepararli. Questo significa che nelle nostre cucine c’è un’intelligenza nascosta, spesso misconosciuta, che condiziona il modo in cui mangiamo e il piacere che traiamo dall’assaporare il cibo.
Anche la pentola è un’invenzione che ha avuto comunque alcuni antecedenti in natura: valve di molluschi, carapaci di tartarughe, canne di bambù, interiora di animali riempite di pezzi di cibo e utilizzate come bollitori da collocare sul fuoco, contenitori rudimentali ottenuti con le cortecce degli alberi e, relativamente più tardi, manufatti realizzati con fibre vegetali intrecciate, le cui origini sono comunque difficilmente databili a causa della deperibilità dei materiali usati. Senza contare le marmitte di pietra ottenute incidendo o scavando la pietra affinché contenesse il cibo da porre sul fuoco, una tecnica antecedente all’uso della ceramica, e come questa ancora oggi in uso presso alcuni gruppi umani che conducono uno stile di vita per così dire “primitivo”.
La cottura sul fuoco (dapprima sulla fiamma viva, poi servendosi dello spiedo e più avanti delle braci, per non carbonizzare la carne, e di supporti precedentemente scaldati sul fuoco, come le pietre usate come piastre) è stata probabilmente la prima e la principale forma di “cucina” praticata a partire dal Paleolitico. La sua semplicità, unita alla squisitezza degli alimenti grigliati o abbrustoliti, progressivamente insaporiti con l’uso di marinature, spezie, erbe aromatiche, intingoli o involucri vegetali che ne aumentano la succulenza, gli aromi e l’intensità del sapore, ne fa ancora oggi una delle forme d’arte culinaria più diffuse e più apprezzate in tutto il mondo.
Fermo restando che la vera cottura arrosto è un processo delicato e graduale, in cui il cibo si cuoce lentamente a una certa distanza dal fuoco, ruotandolo di continuo per non avere parti bruciate e ottenere così una carne tenera e cotta uniformemente, un processo che nulla ha a che vedere con la cottura arrosto primordiale in cui gli alimenti venivano direttamente collocati sul fuoco, cuocendo rapidamente e in modo aggressivo, con il risultato di una carne dura e grassa.
Fra le tecnologie più antiche applicate alla cottura rientrano la piastra rudimentale, realizzata mediante pietre scaldate sul fuoco e utilizzate per cuocere gli alimenti, la cottura sotto la cenere con i cibi avvolti in involucri vegetali o di creta, la cottura nell’argilla e gli antenati del forno, un’innovazione ingegnosa nella storia della cucina su pietra. Dapprima si utilizzarono buche scavate nel terreno, ricoperte di braci ardenti e di pietre arroventate sul fuoco, all’interno delle quali si collocava il cibo come in un forno vero e proprio. Questi primitivi forni interrati, che testimonianze archeologiche tarde riconducono a 30 mila anni fa in Australia, usati ancora oggi dalle popolazioni di cacciatori-raccoglitori di tutto il mondo, avrebbero segnato un progresso decisivo nell’efficacia della cottura.
Nelle buche scavate sotto le falde acquifere, riscaldate sempre con l’uso di pietre roventi, i primi cuochi della storia hanno poi sperimentato le prime forme di “bollitura”. Nella storia dell’evoluzione delle tecniche culinarie, la consuetudine di bollire gli alimenti è più recente della cottura sul fuoco, perché presuppone appunto l’invenzione della pentola: da quel momento verosimilmente la cottura comincia a diventare cucina. Tuttavia, rudimentali pratiche di lessatura erano già note all’uomo preistorico del Paleolitico: pietre riarse dal sole e immerse entro recipienti pieni d’acqua (quali otri di pelle o di budella animali, contenitori di legno o di scorza) provocavano infatti un’ebollizione che consentiva di cuocere pezzi di carne e prodotti vegetali così da ottenere i primi brodi caldi della storia dell’umanità.
Arrivata ancora più tardi, la frittura (sconosciuta dagli uomini del Paleolitico, ha origini che ci riportano al 2.500 a.C. in Egitto ed era molto diffusa nell’antica Roma, dove si friggeva solitamente nell’olio d’oliva – un sorta di tostatura) ha rappresentato un passo ulteriore verso la civilizzazione, situandosi ancora più della bollitura tra le modalità culinarie appartenenti all’ambito dell’elaborato, e a tutt’oggi si configura come una delle modalità di cottura più diffuse e attraenti in tutto il mondo, insieme alla grigliatura. La sua realizzazione, oltre a richiedere la mediazione di liquidi e di grassi animali o vegetali, non poteva prescindere dall’uso di contenitori adatti creati artigianalmente: vasi d’argilla resistenti al fuoco e impermeabili, destinati nel tempo a essere sostituiti dalla padella e dal wok.
Cucinare è come dipingere o scrivere una canzone. Proprio come esistono così tanti colori e note, ci sono così tanti sapori, quindi devi mescolarli in modi diversi per creare qualcosa di nuovo ogni volta.
Wolfgang Puck
Non è superfluo rammentare, tuttavia, che la storia dell’avventura culinaria e il debito della civiltà verso la cultura del cotto è legato anche all’introduzione del sale, un condimento che ha reso più sofisticate le preparazioni culinarie accrescendone il sapore. Agente fondamentale della sapidità, classificato tra le spezie, il sale è uno straordinario esaltatore del sapore degli alimenti il cui uso come primo esaltatore di sapidità risale verosimilmente a un’epoca molto antica nella storia delle specie del genere Homo a noi preesistenti. Non essendo un alimento, la scoperta delle sue proprietà organolettiche fu sicuramente vissuta dai nostri antenati come un eccezionale progresso nella preparazione dei cibi. Legato allo sviluppo della cucina e attestato nelle tradizioni culinarie di tutto il mondo, il suo impiego oltre a essere sfruttato per la conservazione dei cibi ha influito fortemente sull’evoluzione del gusto: agendo in modo selettivo, il sale attenua l’intensità dell’amaro ed esalta il gusto dolce, e grazie poi alla sua polarità favorisce l’evaporazione degli aromi dai cibi poco solubili in un mezzo polare come l’acqua, accrescendo così la volatilità e quindi la percettibilità degli aromi stessi, componenti fondamentali del sapore come sensazione sinestetica.
Il suo uso equilibrato nell’officina culinaria è fondamentale: se l’eccesso di sale rende il cibo immangiabile e nuoce alla salute, il difetto lo rende scialbo e ne impoverisce il sapore. Le sue grandi proprietà osmotiche (l’effetto disidratante sugli alimenti con cui viene a contatto) richiedono poi che venga aggiunto ai cibi (cotti o crudi) al momento giusto, e nella giusta quantità in relazione al tipo di preparazione, proprio per evitare il rischio di fenomeni di osmosi che possono nuocere al sapore: ad esempio, se per ottenere un buon brodo è necessario mettere il sale nell’acqua favorendo la fuoriuscita dei succhi della carne (anche se il lesso sarà più asciutto e meno saporito), per ottenere invece un buon lesso, ma un brodo più leggero il sale va aggiunto in piccole quantità. È anche vero però che oggi se ne fa spesso un uso eccessivo, specialmente nell’ambito dell’industria alimentare e dei cibi pronti, e in particolare in quelli di qualità scadente.
A partire dalle prime applicazioni dell’arte di modificare i sapori mediante l’uso del fuoco, le tecniche di cottura e la tecnologia a servizio dell’arte culinaria progrediscono e si moltiplicano a mano a mano nella storia dell’umanità. Il luogo di cottura, rimasto per lunghissimo tempo distante dallo spazio abitativo, per i pericoli che comportava il fuoco libero, solo a partire dal Medioevo viene integrato nell’abitazione, inizialmente posto a terra o leggermente rialzato (la stanza si riempiva di fumo e di fuliggine rendendo l’aria irrespirabile e c’era il rischio di possibili principi di incendio) e la stanza che lo ospitava (nella stragrande maggioranza delle abitazioni) non era dedicata, ma fungeva da salotto, da camera e da bagno oltre che da cucina.
Nel Cinquecento si ha un’altra svolta: le cucine vengono costruite in muratura e dotate di volte e di camino per il focolare, e il fornello viene collocato all’altezza del tavolo, facilitando il lavoro delle cuoche e dei cuochi. Nel Settecento viene progettata la stufa Castrol, la cosiddetta cucina economica a legna che consentiva di scaldare contemporaneamente l’ambiente, l’acqua, la piastra per la cottura e il forno. Nella seconda metà del Settecento comincerà a essere alimentata con il carbone, nella prima metà dell’Ottocento col gas e così via. Possiamo ragionevolmente affermare che fino a centosessant’anni fa, cioè prima dell’avvento del gas, l’arte della cucina consisteva prevalentemente nell’arte di gestire il fuoco. Agli inizi del ‘900 arrivano i primi forni elettrici, fino alle più attuali cucine a induzione precedute dal forno a microonde, arrivato nella seconda metà del ‘900, per giungere oggi al forno a vapore e al Roner, un bagno termostatico per le modernissime cotture sottovuoto lente, e a bassa temperatura in una bacinella d’acqua, predilette dalla cucina modernista o d’avanguardia. Una tecnica di cottura, quest’ultima, che permette di conservare intatte le qualità organolettiche e nutritive degli alimenti, e che quando è eseguita a regola d’arte rende i cibi straordinari, siano essi vegetali e/o animali, conferendo loro un sapore concentrato, un profumo iperreale e una consistenza perfetta.
Oggi, comunque, si riconoscono tre principali categorie di cottura, distinte in base alle trasformazioni fisico-chimiche indotte negli alimenti e adottate in relazione al tipo, alla qualità e alla dimensione degli alimenti: cotture per concentrazione (grigliare, arrostire, friggere), cotture per espansione (bollire, affogare, a vapore, bagnomaria), cotture miste (in casseruola, brasare, cottura degli ‘spezzati’).
Se il progresso della cucina sembra inarrestabile e la sua storia è ancora ampiamente da scrivere, è tuttavia un dato di fatto che le rapide trasformazioni socio-economiche avvenute negli ultimi sessant’anni con l’avanzare dell’industria agroalimentare, della ristorazione commerciale e della produzione di cibo industriale più elaborato (più ricco di sale, zuccheri e grassi), hanno messo a disposizione un cibo meno genuino di quello preparato e consumato nei secoli precedenti nelle cucine domestiche: questo dovrebbe farci riflettere rammentandoci la nostra lunga storia culinaria, quella storia che ci ha reso umani.
La cucina è l’arte di trasformare gli ingredienti in felicità.
Bernard Loiseau
Senza rinunciare al progresso, e ai diversi modi di fare cucina, e anche al cibo industriale di buona qualità, credo dunque che oggi la vera sfida sia non perdere quel filo culinario sottile e invisibile che ci riporta alle origini della storia della specie umana, riprendendo dimestichezza con gesti antichi e semplici come scegliere accuratamente gli ingredienti, lavorarli e condividerli, gesti oggi in larga parte delegati all’industria alimentare, a quella della ristorazione e/o ai programmi televisivi di intrattenimento che offrono una spettacolarizzazione mediatica del cibo e della cucina.
In altre parole, bisogna riaccendere il focolare domestico, trovare il tempo e il modo di cucinare, un’attività specifica della nostra specie dalla quale ci siamo allontanati convinti di emanciparci – complici i ritmi frenetici e la mancanza cronica di tempo – restituendo alla cucina casalinga il ruolo di volano della vita familiare e relazionale (luogo di confronto, di scambio e di trasmissione di valori e di esperienze tra generazioni diverse) e di tutte le attività domestiche, in cui la cottura ha avuto e continua ad avere una funzione fondamentale. Dopotutto, se non avessimo inventato quest’attività di elaborazione del cibo vivremmo ancora come le altre grandi scimmie, consumando solo alimenti crudi in maniera solitaria, trascorrendo gran parte del tempo procacciando cibo e masticandolo e non saremmo oggi qui a parlare del progresso della cucina.
Per chi volesse approfondire, alcuni suggerimenti di lettura:
Cavalieri, R., E l’uomo inventò i sapori. Storia naturale del gusto, il Mulino, Bologna, 2014.
Fernández-Armesto, F., Storia del cibo, trad. it. Milano, Bruno Mondadori, 2010.
Medagliani, E., Valli, C.G., Storia della pentola. Il fuoco, i segni e le forme del calore, Lodi, Bibliotheca Culinaria, 2004.
Perlès, Ch., Preistoria del fuoco. Alle origini della storia dell’uomo, trad. it. Torino, Einaudi, 1983.
Wrangham, R.W., L’intelligenza del fuoco. L’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo, trad it. Torino, Bollati Boringhieri, 2011.
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