La cucina intesa come attività del cucinare, cioè come processo di trasformazione e di elaborazione dei cibi attraverso cui le materie prime non sempre commestibili e buone da mangiare (e tuttavia edibili dopo la trasformazione culinaria) diventano vivande – piatti che servono a dare nutrimento e specialmente a rendere gli alimenti più gustosi e appetibili, accrescendo il piacere di mangiare – è uno straordinario esempio del modo in cui gli animali umani hanno saputo trasformare la natura in cultura, sostituendo all’ordine biologico del bisogno un sistema culturale. Questa invenzione tutta umana ha segnato lo sviluppo della civiltà anche dal punto di vista filogenetico, rendendo possibile l’evoluzione della nostra specie.
La storia della cucina culinaria procede di pari passo con quella dell’uomo e del suo progresso, frutto di un accrescimento della cultura, delle abilità tecniche, delle conoscenze scientifiche, dell’organizzazione sociale e di tanto altro. Segnando le radici della nostra umanità e la sua trasformazione, non sempre lineare, questa storia si intreccia a doppio filo con il progresso della tecnologia, con il trattamento delle materie prime, con la trasformazione degli ingredienti, con i cambiamenti delle abitudini sociali, con i mutamenti culturali, con l’evoluzione dei gusti e delle abitudini alimentari, abbracciando così numerosi ambiti.
L’invenzione della cultura del cotto, a partire dall’uso del fuoco, fa di noi le uniche scimmie che cucinano il cibo, un processo che rende gli alimenti più commestibili, più digeribili e facilmente assimilabili (soprattutto i vegetali), più masticabili, più sicuri, più profumati e decisamente più saporiti e appetibili, fondendoli in certi casi, rassodandoli o solidificandoli in altri, modificandone la forma, il colore, la consistenza, la testura, il profumo, il sapore e persino il rumore, restituendo, in tutti i casi, un prodotto finale diverso da quello originario e tale, qualche volta, da risultare irriconoscibile.
Cucinare su un fuoco aperto è l’essenza stessa della cucina. È una forma primitiva di connessione con la natura, dove il calore e l’aroma si fondono in un’esperienza culinaria unica. Il fuoco accende la passione del cuoco e trasforma gli ingredienti in opere d’arte per il palato.
Bobby Flay
Cottura e Cultura
Cuocere i cibi e specialmente cucinarli sono tra le massime espressioni della cultura alimentare e del gusto assieme all’arte della tavola, alla produzione dei cibi e alla capacità di socializzare e raccontare le pietanze gustate nella dimensione conviviale attraverso il linguaggio verbale.
Cucinare è poi una delle azioni più quotidiane o almeno più ricorrenti e ordinarie con le quali ogni persona si confronta lungo la sua esistenza, un’attività che richiede tempo, competenze, energia, generosità, creatività, rispetto per gli ingredienti e per chi li ha prodotti, un po’ di fantasia, la pratica, ma soprattutto la voglia di farlo, sapendo che attraverso questo gesto ci prendiamo cura di noi stessi e di coloro che consumeranno con noi ciò che cucineremo.
Cucinare è anche un atto di responsabilità per le conseguenze che le preparazioni possono avere sulla salute di chi le consuma al di là del piacere immediato, ma è altresì un atto d’amore, di altruismo, di attenzione, anche per il tempo dedicato alle persone per le quali prepariamo i cibi e a noi stessi, un modo per esprimere la nostra vicinanza e il nostro affetto. Cucinare, insomma, è un regalo.
Ma quando abbiamo iniziato a praticare questa attività specie-specifica? E come si è evoluta nel corso della nostra lunga storia evolutiva? In genere si è soliti ricondurre le origini della cucina come processo di preparazione e di elaborazione del cibo a partire dal momento in cui i nostri antenati protoumani iniziarono, verosimilmente per caso e in modo non sistematico, a usare il fuoco per scopi alimentari, dapprima recuperando e poi mantenendo vivi fuochi generati spontaneamente in natura, e più avanti nel tempo imparando ad attivarli. La prima forma di cucina in senso stretto ci riporta alla cottura sul fuoco di alimenti che prima venivano mangiati esclusivamente crudi. Sebbene la “domesticazione” del fuoco con una certa approssimazione diventi una pratica comune a partire da 400.000 anni fa – una data che sembra mettere d’accordo scienziati diversi – una serie di ricerche recenti, sempre più consolidate, fa risalire il passaggio dal crudo al cotto – un momento di svolta nella storia del processo di umanizzazione – all’incirca a un milione e mezzo di anni fa con homo erectus: probabilmente il primo esemplare di “cuoco” nella storia degli ominidi. È ipotizzabile, pertanto, che le prime forme di cucina siano coesistite con pratiche alimentari che non prevedevano cibo preparato e che il passaggio a un’alimentazione strettamente “cucinivora” sia avvenuta in un arco di tempo più lungo.
L’attitudine a cuocere il cibo, oltre a trasformarne la qualità, riducendo i tempi di masticazione e di digestione (la cottura di fatto è una predigestione del cibo esterna al corpo), rendendo il cibo più sicuro (distruggendo in larga parte batteri e sostanze tossiche) e ampliando il ventaglio di alimenti commestibili, avrebbe avuto sorprendenti ricadute anche sulla nostra biologia e sui nostri comportamenti: la riduzione dell’apparato masticatorio (la mandibola e i denti) e del tessuto intestinale osservata nei resti di questa specie di ominide sembrerebbe compatibile con un’alimentazione a base di cibi cotti.
Cucina e Intelligenza
In altre parole, la cottura dei cibi avrebbe determinato una redistribuzione dell’energia impiegata dal corpo per la masticazione e la digestione a vantaggio delle funzioni cerebrali, favorendo così lo sviluppo di un cervello più grosso (da homo habilis con un cervello di 600 cm cubici ai primi erectus con un cervello di 870 cm cubici fino ad arrivare a 1000 cm cubici) e di un corpo più grande. L’affinamento progressivo delle tecniche di cottura avrebbe favorito poi la crescita costante del cervello tra un balzo evolutivo e l’altro, fino ad arrivare ai 1350 cm cubici del Sapiens. All’origine dello sviluppo dell’intelligenza umana ci sarebbe quindi la nostra particolare alimentazione basata su cibi cucinati.
Ecco perché il paleoantropologo Richard Wrangham, autore delle cooking hypotesis, sostiene che cuocere il cibo ci avrebbe reso più intelligenti, modificando anche i nostri comportamenti sociali. L’introduzione della cottura avrebbe peraltro favorito la socializzazione del pasto, trasformatosi via via attorno al fuoco e alla preparazione del cibo in un’occasione di cooperazione, di incontro, di relazione, di circolazione delle idee e di condivisione, stimolando verosimilmente lo sviluppo delle abilità comunicative prima e di quelle strettamente linguistiche più tardi. Insomma, alle origini della cucina è legato anche lo sviluppo della convivialità tipicamente umana, un’attività specie-specifica in cui il linguaggio verbale, altrettanto specie-specifico, gioca un ruolo centrale.
Un’altra svolta importante nel progresso della cucina, e più in generale nella storia dell’umanità, ci riporta al Neolitico con la domesticazione delle piante e degli animali (di molto successiva alla domesticazione del fuoco). Circa 10.000 anni fa, quando ci siamo trasformati infatti da raccoglitori-cacciatori in produttori del nostro cibo, attraverso il passaggio dall’economia di predazione all’economia di produzione, la cucina ha avuto un altro importante avanzamento.
Da una parte perché con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento le nostre tavole si sono arricchite di una vasta gamma di nuovi sapori: dai cereali, ai legumi, a una grande varietà di ortaggi, al latte animale e ai suoi derivati caseari e ai primi alimenti preparati a partire dall’elaborazione di questi ingredienti (pani, gallette, focacce, polente, farinate, zuppe, ma anche nuove bevande come il vino e la birra ottenute dalla fermentazione dell’uva e di cereali), accrescendo così anche le possibilità di elaborazione del cibo. Dall’altra parte, con l’avvento dell’agricoltura si palesa la necessità non solo di elaborare metodi di conservazione degli alimenti (legata anche al passaggio dal nomadismo alla sedentarietà: rimanere nello stesso posto tutto l’anno rendeva necessaria la conservazione di alimenti che in certe stagioni non erano disponibili), ma anche il loro stoccaggio. Il più semplice e antico dei sistemi di conservazione è stato sicuramente l’essiccazione al sole, dei cereali ma anche del pesce, della carne e della frutta. Parallelamente si sono evolute anche le tecniche di preparazione del cibo e di lavorazione degli alimenti, primo fra tutti la trasformazione dei cereali in chicco, poco digeribili, in farina.
Cucinare è come dipingere o comporre una canzone. Gli ingredienti sono le note, gli aromi sono i colori e il piatto finale è un’opera d’arte che si gusta con tutti i sensi.
Wolfgang Puck
Pentola, Coperchio e Cucchiaio
Alla cottura seguirono infatti nel corso dei millenni altri sistemi di preparazione e di lavorazione del cibo come la macinazione (anzitutto quella dei cereali), l’essiccazione, la fermentazione per effetto di lieviti e batteri, ma anche la salagione e l’affumicatura, tecniche che consentivano anche la conservazione prolungata dei cibi (forme di elaborazione del cibo che non richiedono l’uso del fuoco ma che rientrano nel “cucinare” in senso lato).
Alla conservazione degli alimenti ha poi dato un grosso contributo la creazione di manufatti in ceramica, riservati inizialmente alla cottura e poi all’immagazzinamento dei cibi (cereali, legumi, olio, vino): un grosso progresso per l’officina culinaria, perché consentiva di cucinare a fuoco lento e di introdurre la bollitura e la stufatura prima, e più avanti la frittura. I vini più antichi di cui abbiamo notizia sono stati prodotti in Georgia all’incirca 8.000 anni fa, in anfore interrate di notevole capacità rivestite di cera d’api per migliorarne l’impermeabilità.
A queste tecniche di conservazione nei millenni si sono poi aggiunti la pastorizzazione, la refrigerazione, il congelamento, la surgelazione industriale, l’abbattimento, il sottovuoto. Sempre al Neolitico risale un’innovazione che, oltre a rendere commestibili legumi e cereali, sì da farne a tutt’oggi alimenti basilari dell’alimentazione della specie umana, ha permesso il progresso dalla cottura alla cucina e quindi all’arte culinaria in senso stretto: l’invenzione della pentola, un recipiente per la cottura resistente alla fiamma, in grado peraltro di catturare i preziosi liquidi di cottura che altrimenti sarebbero andati perduti cuocendo gli alimenti direttamente sul fuoco, e di ridurre il rischio di bruciare i cibi. Ciò vuol dire che l’evoluzione della cucina è legata in larga misura alla creazione di alcuni manufatti, benché la loro importanza sia stata trascurata nelle storie del cibo.
Dopo tutto, senza l’invenzione della pentola e del coperchio, e di altri utensili da cucina e da tavola come il “banalissimo”, per così dire, cucchiaio di legno che diamo per scontato (con cui impediamo alla cipolla di attaccarsi nella padella, strapazziamo le uova, ci aiutiamo a sciogliere il cioccolato ecc.) o del coltello che è alla base del lavoro di ogni cuoco, e senza la scoperta graduale dei segreti del fuoco e della preparazione degli alimenti non si sarebbe verificata quella elaborazione lenta del cibo che ha reso possibile il progresso della culinaria e della cultura gastronomica, e ha aperto la strada agli innumerevoli modi di lavorarlo, sottraendolo al suo “destino naturale”.
Per chi volesse approfondire, alcuni suggerimenti di lettura:
Cavalieri, R., E l’uomo inventò i sapori. Storia naturale del gusto, il Mulino, Bologna, 2014.
Fernández-Armesto, F., Storia del cibo, trad. it. Milano, Bruno Mondadori, 2010.
Medagliani, E., Valli, C.G., Storia della pentola. Il fuoco, i segni e le forme del calore, Lodi, Bibliotheca Culinaria, 2004.
Perlès, Ch., Preistoria del fuoco. Alle origini della storia dell’uomo, trad. it. Torino, Einaudi, 1983.
Wrangham, R.W., L’intelligenza del fuoco. L’invenzione della cottura e l’evoluzione dell’uomo, trad it. Torino, Bollati Boringhieri, 2011.
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